Il quiet quitting (letteralmente ”abbandono silenzioso”) è un fenomeno che sta guadagnando crescente attenzione nel contesto lavorativo contemporaneo.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, questo concetto non si riferisce all’abbandono fisico del posto di lavoro o alle dimissioni, ma a una riduzione consapevole dell’impegno, che porta il lavoratore a limitarsi a svolgere solo le mansioni strettamente previste dal contratto di lavoro, senza dedicarsi a nessun contributo extra o compito straordinario, come ad esempio la collaborazione spontanea e il problem solving.
Il quiet quitting affonda le sue radici in un malessere più ampio legato a una cultura lavorativa che da decenni promuove l'iperproduttività e il sacrificio personale, spesso a scapito del benessere psicologico dei lavoratori.
Questo fenomeno, particolarmente diffuso tra i più giovani delle generazioni Millennial e Z, rappresenta un cambiamento profondo nel rapporto tra i lavoratori e il loro impiego. Oggi, infatti, molte persone hanno riconsiderato il ruolo del lavoro nelle loro vite, decidendo di porre maggiore enfasi sul benessere personale.
Il quiet quitting rappresenta quindi una strategia consapevole per proteggere il proprio equilibrio psicologico, manifestandosi come una disconnessione dal coinvolgimento lavorativo, che porta il lavoratore a limitarsi al minimo richiesto, senza spingersi oltre. Tuttavia, questo atteggiamento non è sinonimo di pigrizia o svogliatezza, ma una maniera di gestire il rischio di burnout e le aspettative irrealistiche imposte dalla cultura dell’iperlavoro.
Dati statistici
Il quiet quitting è un fenomeno molto diffuso a livello globale.
Secondo uno studio del 2022, si sta assistendo a un calo significativo del coinvolgimento lavorativo, con solo il 21% della forza lavoro globale che si sente veramente coinvolto nel proprio lavoro. In Europa, questo dato scende al 14%, e in Italia si registra il valore più basso, pari a solo il 4%.
Le statistiche americane mostrano che addirittura metà della forza lavoro statunitense si identifica come quiet quitter.
Nella maggioranza dei casi, questo disinteresse è il risultato di un’insoddisfazione profonda nei confronti di una cultura organizzativa che non riconosce adeguatamente il contributo dei dipendenti.
Cause psicologiche
Il fenomeno del quiet quitting è legato a diverse cause che coinvolgono sia il contesto lavorativo che le caratteristiche personali dei dipendenti.
Ecco le principali cause psicologiche che spingono i lavoratori a praticare questa forma di disimpegno silenzioso:
Burnout: Il sovraccarico di lavoro, che porta alla perdita di energia e motivazione, è una delle principali cause di quiet quitting.
Insoddisfazione lavorativa: Quando il lavoro non soddisfa più i bisogni emotivi e psicologici dei dipendenti, l’impegno diminuisce progressivamente.
Obiettivi di carriera disattesi: La mancanza di opportunità di crescita nella propria carriera e di avanzamento professionale porta i lavoratori a perdere interesse per il loro ruolo.
Ambiente lavorativo negativo: Un ambiente di lavoro caratterizzato da una gestione inadeguata, una cultura aziendale tossica o la mancanza di riconoscimento contribuisce al quiet quitting.
Paura del conflitto: Alcuni lavoratori evitano di affrontare discussioni o conflitti con i colleghi o i superiori, preferendo ridurre il loro impegno piuttosto che esporsi a confronti diretti che potrebbero compromettere la loro posizione.
Mantenere relazioni professionali: In alcuni casi, i lavoratori scelgono di praticare il quiet quitting per evitare di lasciare un'impressione negativa mentre cercano nuove opportunità senza danneggiare la loro reputazione.
Preservare la reputazione dell’azienda: Alcuni dipendenti, che hanno lavorato a lungo nell’azienda, decidono di uscire in modo discreto iniziando con il quiet quitting, in modo da non danneggiare l'immagine dell'azienda, mantenendo buone relazioni professionali ed evitando conflitti che potrebbero sorgere da una dimissione formale.
Inoltre, a livello neuropsicologico, il quiet quitting è legato alla riduzione della dopamina (responsabile della motivazione) e all’aumento del cortisolo (legato allo stress). Questo rappresenta una risposta adattiva del sistema nervoso per preservare energia e protezione psichica in un ambiente percepito come stressante o alienante.
Inoltre, la pandemia ha accentuato queste problematiche, spingendo molti a rivalutare il loro rapporto con il lavoro e a cercare un equilibrio migliore tra vita privata e carriera.
Infine, vi sono tratti della personalità che caratterizzano i quiet quitters e che quindi, quando presenti, aumentano le possibilità che si verifichi questo fenomeno. Questi sono una forte consapevolezza di sé, una natura indipendente e un forte senso dei valori personali, spesso in contrasto con una cultura aziendale che non riconosce adeguatamente il loro impegno.
Frustrazione lavorativa e stress
La frustrazione lavorativa può essere un segnale di un carico emotivo e fisico che supera le risorse personali, e spesso nasce dall’accumulo di stress cronico, aspettative non soddisfatte e mancanza di riconoscimento.
In questi casi, il fenomeno del quiet quitting emerge come una strategia di sopravvivenza: si smette di dare il proprio contributo oltre il minimo richiesto per proteggere la propria salute mentale. Questo non implica disinteresse totale, ma un atto di autodifesa.
Imparare a riconoscere i segnali di esaurimento, porre limiti chiari e coltivare momenti di autoregolazione emotiva è essenziale per evitare che la frustrazione sfoci in un disimpegno completo. La gestione dello stress, quindi, diventa fondamentale non solo come cura di sé, ma anche come strumento per riprendersi il proprio potere decisionale nel contesto lavorativo.
Il cuore del problema
Molti manager, datori di lavoro, o persone che considerano il lavoro come la parte centrale della vita, interpretano il quiet quitting come un segno di svogliatezza o mancanza di etica del lavoro.
Tuttavia, il quiet quitting è una risposta alla necessità di tutelare la propria salute psicofisica e di ristabilire un equilibrio tra la vita lavorativa e quella privata, spesso compromesso da un carico di lavoro eccessivo, indirizzando le proprie energie verso ciò che è realmente importante al di fuori del lavoro.
Alla base di questo fenomeno c'è una consapevolezza crescente tra i lavoratori: il desiderio di non essere solo risorse produttive, ma esseri umani con bisogni e limiti da rispettare.
Questo è il vero cuore del fenomeno: non un rifiuto del lavoro, ma una reazione sana e necessaria a una situazione che non considera le esigenze umane di chi lavora.
Il problema principale sta quindi nelle aspettative dei datori di lavoro e la cultura dei tempi odierni.
Rischi di conoscenza umana per le aziende
Per le aziende, il quiet quitting porta con sé dei rischi. Infatti, questo fenomeno ha un impatto diretto su uno degli aspetti più importanti per il successo di un’organizzazione: la gestione della conoscenza.
Quando i dipendenti si limitano a fare il minimo indispensabile, senza coinvolgersi o condividere le loro competenze, si creano quelli che vengono chiamati "rischi di conoscenza umana". Questi rischi riguardano situazioni in cui la conoscenza che i lavoratori possiedono non viene trasferita correttamente, viene nascosta o addirittura persa.
Secondo uno studio del 2023 condotto da Durst e Zieba, ci sono quattro principali categorie di rischi legati alla gestione della conoscenza:
Knowledge Hiding (“Nascondere la Conoscenza”): Questo accade quando un dipendente nasconde intenzionalmente informazioni importanti che gli vengono richieste, per motivi personali o per proteggere il proprio potere all’interno dell’organizzazione.
Knowledge Hoarding (“Accaparramento della Conoscenza”): Qui, un dipendente trattiene informazioni o competenze anche senza una richiesta esplicita, per sfiducia nei colleghi, paura di perdere il proprio valore o semplicemente per una mancanza di incentivi a condividere ciò che si sa.
Unlearning e Forgetting (“Disimparare e Dimenticare”): Quando i dipendenti non si aggiornano o smettono di usare certe competenze, queste vengono dimenticate. L’obsolescenza delle pratiche o la mancata formazione continuativa contribuiscono a questo rischio.
Competenze Carenti: La mancanza di una formazione adeguata, l’alto tasso di turnover o l’assenza di un buon sistema di mentoring fanno sì che le competenze fondamentali vengano a mancare, riducendo la capacità dell’organizzazione di essere competitiva.
Questi rischi, se non affrontati, portano a una perdita silenziosa e graduale di valore all'interno dell’organizzazione. Anche se l'azienda può sembrare produttiva all’esterno, internamente si sta verificando una frantumazione della "memoria aziendale". Questo significa che le competenze e le esperienze accumulate nel tempo non vengono trasmesse ai nuovi dipendenti, rallentando l’innovazione e la capacità di adattarsi ai cambiamenti.
Un altro effetto del quiet quitting è che le aziende diventano più rigide al cambiamento, con un aumento dei costi di onboarding per i nuovi arrivati. Inoltre, la capacità di rispondere rapidamente a situazioni impreviste si riduce, mettendo a rischio la sostenibilità a lungo termine dell’organizzazione.
Consigli utili per aziende e dipendenti
Ecco alcune strategie utili che le aziende possono mettere in pratica per affrontare il fenomeno del quiet quitting:
Creare un ambiente lavorativo sicuro: Un clima che garantisca la sicurezza psicologica e favorisca la trasparenza, il dialogo, la fiducia, l’empatia, l’impegno e la collaborazione e che faccia sì che i dipendenti possano esprimersi senza paura di rimproveri, aumenta l’engagement nelle proprie mansioni.
Trattare i dipendenti con rispetto e stima: Riconoscere e rispettare le differenze, le conoscenze e i motivatori di ogni membro del team è fondamentale per mantenere alta la motivazione.
Offrire riconoscimenti autentici e opportunità di crescita: Ogni lavoratore merita che il suo lavoro, i suoi sforzi e i suoi successi siano riconosciuti e premiati oltre la valutazione delle performance numeriche. Promuovere una cultura di crescita, offrendo opportunità di sviluppo professionale, formazione continua e piani di carriera personalizzati è altrettanto importante. Tutti questi accorgimenti migliorano il morale e riducono il disimpegno.
Osservare i cambiamenti comportamentali: Riconoscere segnali di disimpegno, come una diminuzione dell’entusiasmo o della produttività, aiuta ad affrontare il problema tempestivamente, esplorando le cause.
Offrire flessibilità: Consentire una maggiore autonomia nell’orario di lavoro può migliorare l’equilibrio tra vita privata e professionale, contribuendo al benessere dei dipendenti.
I dipendenti, dal canto loro, possono adottare strategie per mantenere l’impegno, come:
Gestire il proprio benessere: Mantenere una separazione chiara tra vita privata e professionale, partecipare a programmi di crescita personale, e chiedere supporto psicologico in caso di burnout.
Investire nello sviluppo professionale: Continuare a formarsi, migliorare le proprie competenze e rivedere periodicamente le proprie priorità per mantenere alta la motivazione.
Considerare un cambiamento, ma non come una fuga: Il quiet quitting non sempre è una soluzione sostenibile nel lungo termine e non è una scelta rapida per sfuggire allo stress lavorativo. Tuttavia, se non si viene valorizzati a sufficienza o vi è una continua mancanza di opportunità, ricercare un contesto lavorativo che possa essere più soddisfacente e allineato ai propri valori è una buona idea per il proprio futuro.
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