Cos’è la violenza ostetrica?
La violenza ostetrica è quell’insieme di pratiche mediche e assistenziali ostetrico-ginecologiche messe in atto dai professionisti sanitari durante il processo di gravidanza, parto e post-parto, che, non essendo clinicamente necessarie, assumono la forma di abuso medico e psicologico.
Secondo la definizione adottata dal Consiglio d’Europa nel 2019 nella Risoluzione n. 2306/2019, le violenze ostetriche sono “pratiche violente, talvolta sessiste, considerate forma di violenza di genere, che avvengono nell’ambito di consultazioni mediche o del parto”.
Queste violenze possono assumere diverse forme, comprendendo tutte quelle pratiche non giustificate da effettive necessità cliniche e che violano i diritti della donna, come comportamenti denigratori o sessisti, lunghe attese senza assistenza, mancanza di anestesie o terapie adeguate, pressioni sul fondo uterino, manovre rischiose o esecuzione di cesarei non necessari. In particolare, la mancanza di consenso informato alle procedure mediche e la mancata spiegazione di informazioni adeguate sono le più comuni forme di violenza ostetrica.
Tutti questi comportamenti abusanti verso la donna e il neonato comportano moltissime conseguenze psicofisiche, potendo anche creare dei veri e propri traumi. Tuttavia, spesso si nascondono dietro a protocolli medici collettivamente legittimati. Per questo, non risulta facile per le donne identificare e denunciare queste violenze.
Quando e come in sala parto possono avvenire violenze e abusi?
Ci sono diversi casi in cui possiamo parlare di violenza ostetrica. Ecco i principali esempi di pratiche abusanti in sala parto:
Qualsiasi manovra coercitiva effettuata senza il consenso informato esplicito e le informazioni complete a riguardo, come palpazioni vaginali, pressioni sul fondo uterino, ventosa, forcipe, rottura artificiale delle membrane, clistere e depilazione del pube.
La pratica dell’episiotomia, che è un'incisione chirurgica praticata nel perineo per facilitare l'uscita del bambino, eseguita senza il consenso informato della donna o in modo non necessario.
La manovra di Kristeller, una pratica controversa e sconsigliata dall’OMS che consiste nell’applicazione di una vigorosa pressione manuale sull’addome durante la contrazione per agevolare l’uscita della testa del bimbo.
Qualsiasi intervento non necessario, come il taglio cesareo o la sutura di eventuali lacerazioni con dei punti extra.
La mancata effettuazione dell’anestesia durante manovre o interventi dolorosi o il rifiuto di praticarla.
Il divieto prolungato di assumere cibo o bevande.
L’utilizzo eccessivo di ossitocina sintetica per indurre o accelerare il processo delle contrazioni.
L’impossibilità di scegliere la posizione preferita durante il travaglio e il parto, per esempio l’obbligo alla posizione supina e all’utilizzo delle staffe.
Impedire la presenza di un accompagnatore.
Il taglio precoce del cordone ombelicale.
La separazione del neonato dalla mamma subito dopo la nascita, impedendo il contatto precoce tra mamma e bimbo o l’allattamento precoce, quando non vi è alcuna motivazione medica.
Controlli di routine ripetitivi con esami superflui e pratiche mediche eccessivamente medicalizzate, fatti passare come obbligatori ed essenziali.
Oltre alle pratiche strettamente mediche che non dovrebbero essere messe in atto, vi sono anche altre forme di violenza ostetrica, più sottili e nascoste, e per questo spesso sottovalutate, tra cui:
Abuso verbale o psicologico, come mancanza di rispetto, insulti, commenti sessisti, urla, minacce, trattamenti umilianti.
Mancanza di rispetto per la privacy.
Mancanza di tutela e riconoscimento dei diritti della donna e del bambino, per esempio lesione del diritto alla riservatezza e al trattamento rispettoso durante l’esame fisico o altri procedimenti.
Rooming-in non appropriato (tenere il neonato in stanza con la madre 24 ore su 24 dopo il parto); esempi sono rooming-in forzato, vissuto dalla madre debilitata o con difficoltà fisiche o emotive come forma di pressione o coercizione, o quando la madre viene abbandonata da sola nonostante sia esausta, o quando viene ignorata pur avendo bisogno di assistenza.
Negligenze o mancate informazioni che potrebbero favorire il benessere di mamma e bambino.
Discriminazione basata su fattori, come la razza, il genere, l’orientamento sessuale o la classe sociale.
Giudizi negativi o di disapprovazione, per esempio riguardo al tipo di allattamento.
Costrizioni fisiche o restrizioni prima, durante e dopo il parto.
Inadeguatezza delle risorse mediche o delle strutture.
Tutti questi elementi sono forme di violenza ostetrica e possono contribuire a rendere sgradevole e persino traumatica l’esperienza del parto, con numerose conseguenze fisiche e psicologiche.
Statistiche e dati sulla violenza ostetrica in Italia
Secondo delle indagini condotte su un campione di 1 milione di donne nel corso di 14 anni dall’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica Italia, il 21% delle madri italiane ha subito violenza ostetrica e il 41% delle partorienti ha ricevuto un’assistenza al parto considerata lesiva della propria dignità e integrità psicofisica.
In particolare, il 54% delle donne intervistate ha ricevuto un’episiotomia traumatica, e nel 61% di questi casi è stata effettuata senza consenso informato.
Inoltre, l’11% delle madri intervistate ha ammesso di aver subito un trauma legato all’assistenza ospedaliera tale per cui ha preferito rimandare di molti anni la scelta di vivere un’ulteriore gravidanza, arrivando spesso a rinunciarvi. Infatti, sempre secondo questo studio, il 6% delle intervistate ha detto di non volere più figli e di aver rinunciato a una seconda gravidanza a causa dell’esperienza traumatica vissuta.
Secondo altre ricerche effettuate dall'Istituto Burlo Garofalo di Trieste su un campione di quasi 5.000 donne durante la pandemia di COVID-19, è emerso che al 78,4% delle donne in travaglio è stata negata la possibilità di avere il supporto del partner. Il 39,2% ha riportato di non essersi sentita pienamente coinvolta nelle decisioni mediche, il 24,8% ha dichiarato di non essere stata sempre trattata con dignità, e il 12,7% ha affermato di aver subito abusi.
Inoltre, si sta osservando che in Italia il parto è un evento sempre più meccanico e medicalizzato. Secondo dei dati del 2015, in Italia, il 34,1% dei bambini è nato con parto cesareo, mentre tra i Paesi europei il tasso medio è inferiore al 25%, il che suggerisce che molti interventi vengano effettuati senza una reale necessità.
Conseguenze fisiche e psicologiche
La violenza ostetrica può avere numerose conseguenze fisiche sul corpo e la psiche della donna.
Tra le conseguenze fisiche più comuni vi sono le lacerazioni perineali e vaginali, soprattutto dovute all'episiotomia, che possono richiedere tempi di guarigione prolungati e portare a complicanze come dolore cronico o difficoltà durante i rapporti sessuali.
È anche frequente l’emorragia post-parto, che avviene in caso di interventi invasivi e non necessari, manovre violente o uso eccessivo di farmaci per accelerare il parto, che rappresenta un rischio molto grave e può persino portare a mortalità materna.
Manovre come quella di Kristeller possono causare anche danni a organi interni, fratture delle coste o del bacino, traumi al collo dell'utero e lesioni al pavimento pelvico.
Il taglio cesareo, così come l’uso improprio di strumenti o pratiche non igieniche può portare a infezioni, emorragie, danni nervosi e muscolari, aderenze post-operatorie e difficoltà nelle gravidanze future per un maggior rischio di rottura uterina. I problemi conseguenti più comuni sono dolore cronico, incontinenza e prolasso.
La violenza ostetrica può portare anche a gravi conseguenze psicologiche, come lo sviluppo di disturbi d’ansia, stress post-traumatico, depressione post-partum, psicosi post-partum, disturbi del sonno e l’aggravamento di eventuali condizioni psichiatriche pregresse.
Inoltre, le donne che hanno subito tali abusi tendono a sviluppare diffidenza verso il personale sanitario e paura generalizzata delle cure mediche, che può portarle a non cercare assistenza quando necessario.
Le vittime di violenza ostetrica sperimentano spesso senso di colpa, rabbia, inadeguatezza, bassa autostima e auto-svalutazione per non essere riuscite a tutelare i propri diritti e quelli del loro bambino, che può portare loro a percepirsi incapaci di prendersi cura di sé e del bambino.
Inoltre, le donne vittime di violenza ostetrica potrebbero sviluppare una paura patologica del parto (tocofobia) o senso di rifiuto verso la maternità, che può portarle a negarsi la possibilità di avere altri figli.
Esperienze di abuso durante il parto possono ostacolare l’instaurarsi di un sano legame affettivo madre-figlio e compromettere la creazione di una relazione empatica, per via dell’instabilità psichica ed emotiva causata dal trauma.
Altre conseguenze negative derivano dal fatto che il benessere psicologico della madre è strettamente correlato con quello del figlio. Degli studi hanno dimostrato che stress prolungati dalla gravidanza al post parto possano alterare alcuni parametri ematochimici materno-fetali, con conseguenze non solo sulla madre ma anche sullo sviluppo emotivo, cognitivo e relazionale de bimbo.
OMS e Legislazione
L'OMS condanna ogni forma di violenza ostetrica, sottolineando in particolare la condizione di estrema vulnerabilità in cui si trova la donna quando affida il proprio benessere e quello del suo bambino alle cure di medici e infermieri.
L'OMS ha anche affrontato il tema della violenza ostetrica nella dichiarazione "Prevenzione ed eliminazione dell'abuso e della mancanza di rispetto durante l'assistenza al parto nelle strutture ospedaliere", in cui afferma: “Abuso, negligenza o mancanza di rispetto durante il parto possono condurre alla violazione dei fondamentali diritti umani della donna [...] In particolare, le gestanti hanno il diritto a pari dignità, ad essere libere nel cercare, ricevere e rilasciare informazioni, ad essere libere dalla discriminazione, e ad usufruire del più alto standard raggiungibile di salute fisica e mentale, inclusa la salute sessuale e riproduttiva.”
Tuttavia, in Italia, non esiste ancora una legge specifica contro la violenza ostetrica, a differenza di altri Paesi come Argentina, Venezuela e Porto Rico, che hanno adottato normative per proteggere i diritti delle donne durante il parto.
L'Argentina, ad esempio, ha approvato nel 2004 la "Legge dei Diritti del Paziente" (Legge 25.929), che tutela la dignità e il rispetto durante l'assistenza medica, incluso il travaglio e il parto. In Venezuela, la "Ley Orgánica sobre el Derecho de las Mujeres a una Vida Libre de Violencia" del 2007 ha riconosciuto ufficialmente la violenza ostetrica, definendola come l'appropriazione dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che comporta un abuso di medicalizzazione e un trattamento disumano.
In Italia, una proposta di legge è stata presentata nel 2016 dal deputato Adriano Zaccagnini. La proposta mira a tutelare i diritti fondamentali delle donne durante il parto, promuovendo un'assistenza rispettosa e non invasiva, e vieta specifiche pratiche come il parto in posizione supina forzata o l'uso di tecniche di accelerazione del parto senza consenso informato. Inoltre, include la punizione per chi commette atti di violenza ostetrica, con pene che vanno da due a quattro anni di reclusione. Sebbene questa proposta non sia stata ancora approvata, rappresenta un passo importante verso la tutela dei diritti delle donne nel contesto del parto.
Come difendersi, cosa fare e come farsi aiutare
Per difendersi dalla violenza ostetrica, prima di tutto è importante parlarne, conoscerne le conseguenze e promuovere una maggiore consapevolezza riguardo ai diritti delle donne, per dare loro la possibilità di reagire e denunciare da una parte, e sensibilizzare il personale sanitario e la popolazione generale dall’altra.
I corsi preparto rappresentano un’ottima risorsa per aiutare le donne nei loro dubbi e le loro paure e per favorire uno stato d’animo sereno. Avere una buona rete di sostegno e poter parlare con altre donne, ostetriche, medici, amici e familiari è altrettanto importante per far sentire le madri supportate.
Anche gli operatori sanitari dovrebbero essere consapevoli delle questioni legate alla violenza ostetrica e ricevere una formazione appropriata sull’ascolto attivo e sulla comunicazione rispettosa.
Quando si parla di violenza ostetrica, la denuncia è fondamentale per mettere alla luce i casi di abuso, promuovere una maggiore trasparenza e contribuire al miglioramento delle pratiche mediche e alla prevenzione di tali violenze. Come farlo? Si può denunciare rivolgendosi alla direzione dell’ospedale e, se si intende procedere per vie penali, alle forze dell’ordine. È anche importante ricercare supporto psicologico per elaborare al meglio ciò che si è vissuto.
Combattere la violenza ostetrica in Italia necessita non solo di azioni legislative, ma anche di un cambiamento culturale che valorizzi il rispetto e la dignità delle donne nell'ambito della sanità. La consapevolezza della violenza ostetrica può davvero supportare un cambiamento sociale, promuovendo la salvaguardia dei diritti delle donne durante il parto e riportando la gravidanza a una dimensione naturale e di scelta attiva.
Favorire una cultura del parto più attenta e consapevole è cruciale per assicurare a ogni donna di vivere questo momento con rispetto e dignità e nella piena tutela dei diritti.
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Bibliografia
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