La percezione di sé e i pensieri automatici

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La percezione di sé e i pensieri automatici

Pensare di essere una persona di valore e meritevole o, all’opposto, indegna e immeritevole modifica radicalmente il modo in cui questa si porrà nei confronti delle sfide quotidiane, soprattutto quando queste valicano il limite di ciò che è consueto. Questo punto di partenza comporta che sia possibile, anzi essenziale, per il benessere dell’individuo, agire sul piano della prevenzione facendogli apprendere l’efficacia delle proprie azioni e la “potenza” che le proprie percezioni hanno. Il modo in cui l’individuo pensa può indebolire o potenziare il controllo che ha verso gli eventi della vita; difatti, per Seligman (1991), i “pensieri non sono semplici reazioni agli eventi. Essi cambiano il corso degli eventi stessi”. Cambiare la percezione vuol dire cambiare la prospettiva dalla quale si guarda un evento e ciò che cambia inizialmente non è l’evento direttamente, ma il proprio modo di vedere l’evento stesso e la qualità della vita.

I contenuti cognitivi forniscono all’individuo un frame, una cornice attraverso la quale inquadrare il proprio mondo, determinando emozioni e comportamenti (Beck, Rush, Shaw, & Emery, 1979). Il nostro comportamento può essere, quindi, definito come la risposta a stimoli che vengono elaborati in modo rapido, spontaneo e inconsapevole (Fiske & Taylor, 2009) a partire da quelle convinzioni che risiedono nell’individuo in strutture di livello profondo, definite schemi. Questi, agendo come filtri, selezionano, codificano e valutano le informazioni in entrata (Beck, 1967), fornendo una sorta di “conoscenza tacita”, una verità a priori che guida le persone su come agire (Guidano, 1988). Il contenuto cognitivo specifico degli schemi è costituito dalle credenze stabili di base (core beliefs); esse rappresentano le idee più centrali sul proprio Io, e possono essere talmente profonde, ipergeneralizzate e rigide che spesso le persone “non le esplicano neppure a se stesse” (Beck, 1995).

A livello intermedio si collocano le credenze intermedie, o assunzioni condizionate, che si presentano come regole “se…allora” (Riso, Du Toit, Stein, & Young, 2011). In risposta a stimoli specifici, le credenze emergeranno spontaneamente al livello più superficiale, al livello cognitivo più vicino alla consapevolezza, “esprimendo” così, attraverso parole reali o immagini più specifiche, la “forma” dei pensieri automatici (Beck, 1995). Sono pensieri che richiedono uno sforzo di attenzione per renderli consapevoli, in quanto, di solito, appartengono al patrimonio profondo del soggetto, sono ipervalenti e si esprimono tramite frasi fatte o affermazioni che hanno contenuto di ovvia plausibilità senza distanza critica per chi li produce. Le credenze su sé o sugli altri, in quanto spesso si basano su preconcetti, possono anche portare ad assunzioni irrealistiche che possono, a loro volta, fare da base per l’avvio di una “gerarchia di pensieri disfunzionali”, producendo nell’individuo un “livello significativo di disregolazione, intense emozioni negative, ed un controproducente comportamento auto-distruttivo” (Poerio, 2011); i pensieri automatici negativi sono, dunque, i prodotti osservabili di errori di elaborazione che conducono alla distorsione delle percezioni e delle interpretazioni degli eventi (Riso et al, 2011).

SITUAZIONE --> PENSIERO AUTOMATICO --> REAZIONE (emotiva/comportamentale/fisiologica)

Quindi, citando Seligman (1991):

come “neutralizzare” l’abitudine a pensieri automatici negativi?

Cambiando il modo di guardare le cose, cambiando il pensiero conscio dell’individuo circa le sue percezioni su sè, le relazioni e il mondo che lo circonda. A tal proposito Seligman (1991) cita 5 strategie che provengono dalla Terapia Cognitiva la quale ipotizza che non sia la situazione in sé a determinare le risposte emotive dell’individuo, ma piuttosto il modo in cui essi interpretano la situazione (Beck, 1964; Ellis, 1962).

L’obiettivo è quello di cambiare il pensiero conscio del soggetto (Seligman, 1991), attraverso un percorso che prende le fila dall’apprendere la capacità di riconoscere pensieri automatici consci e le emozioni che si presentano nelle situazioni di sofferenza. Il passo successivo a questa prima consapevolezza è di acquisire la capacità per combatterli sulla base di prove a confutazione e, successivamente, apprendere l’esistenza di spiegazioni alternative che, attraverso percorsi di “riattribuzione”, potrà mettere in discussione i pensieri automatici. Il quarto passo è distrarsi, prendere le distanze dai pensieri automatici negativi. E, come conclusione, l’apprendimento delle capacità di riconoscere e mettere in discussione anche le credenze di base che guidano il comportamento disfunzionale (Seligman, 1991).

Bibliografia

  • Beck, A. T. (1964). Thinking and depression: II. Theory and therapy. Archives of General Psychiatry, 10, 561-571.
  • Beck, A. T., Rush, A. J., Shaw, B. F., & Emery, G. (1979). Cognitive therapy of depression. New York: Guilford.
  • Ellis, A. (1962). Reason and emotion in psychotherapy. New York: Lyle Stuart.
  • Fiske, S. T., & Taylor, S. E. (2009). Cognizione sociale. Milano: Apogeo.
  • Guidano, V. (1988). A systems, process-oriented approach to cognitive therapy. In K. S. Dobson (Ed.), Handbook of cognitive-behavioral therapies (pp. 307-357). New York: Guilford .
  • Poerio, V. (2011). Le tecniche di coping in ambito cognitivo comportamentale : metodologia ed applicazioni cliniche. Milano: Franco Angeli.
  • Riso, L. P., Du Toit, P. L., Stein, D. J., & Young, J. E. (Eds.). (2011). Schemi cognitivi e credenze di base : schema therapy e terapia cognitiva nel trattamento dei disturbi di asse I. Firenze: Eclipsi.
  • Seligman, M. E. (1991). Learned optimism. Firenze: Giunti - trad. it. 1996.