Buongiorno Enrico, quando si entra nella stanza di uno psicoterapeuta capita spesso che prima della seduta si pensi a ciò che si vuole dire, soprattutto nei primi mesi di terapia. Si fa un riassunto rapido nella propria mente, ma nella maggior pare dei casi succede che si parli d'altro. Capita a volte che si possa partire da un oggetto, dall’immagine di un quadro della stanza, il colore del maglione della psi. Non sono cose irrilevanti. Non è importante sapere cosa dire, ma esprimere ciò che si sente. Ciò che si prova. Come ci si sente al lavoro, le emozioni rispetto ai familiari, agli amici, alle donne, a se stesso. Anzi, più il discorso non è organizzato e ci si lascia andare a co’ che “arriva” in quel momento, tanto più c’è la possibilità di “toccare” corde importanti. Sarà il terapeuta poi a trovare un filo comune tra tutte quelle emozioni e sentimenti e potrà farle notare dei nessi nuovi, delle coincidenze alle quali non aveva fatto caso. Non c'è un giudizio in questo, ma solo l'osservazione di ciò che si sta rendendo evidente. Quando questo avviene, vuol dire che la terapia sta funzionando e la persona esce da quel portone (o con un click chiude skype), si sente molto più sollevata. A volte anche commossa. Potrebbe iniziare proprio da qui: la paura del giudizio. Come pensa posso essere giudicato dagli altri? La giudicano bene, male, sono indifferenti? Quella confusione e argomenti che si affollano nella sua testa, credo indichino l'urgenza di "tirare fuori", di comunicare con qualcuno che accolga, senza giudicare. In bocca al lupo.