Il ruolo del corpo nel trauma: dalla memoria corporea alla resilienza

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corpo e trauma

"A dirla tutta, nessuno di noi può essere in grado di “trattare” una guerra, un abuso, uno stupro, una molestia o qualunque altro evento di simile portata. Ciò che è successo non può essere cancellato. Quello che si può fare, invece, è occuparsi delle tracce del trauma nel corpo, nella mente e nell’anima: di quella sensazione schiacciante sul petto, che chiamiamo ansia o depressione; della paura di perdere il controllo; dell’essere sempre in allerta rispetto a un pericolo o ad un rifiuto."

Con queste parole Bessel Van Der Kolk introduce i percorsi di cura nel suo libro “Il corpo accusa il corpo”.

Il trauma non viene memorizzato come un racconto con un inizio e una fine, ma come flashback che contiene immagini isolate, suoni e sensazioni fisiche, circondate da paura e panico: C'è il fallimento della memoria ippocampale. Talvolta usiamo la mente non per far scoprire i fatti, ma per nasconderli. Usiamo una parte della nostra mente come schermo per impedire a un’altra parte di sentire quel che accade altrove, afferma Damasio.

Damasio sottolinea che tutte le strutture cerebrali che registrano i vissuti sono collocate vicino alle aree che controllano le funzioni di gestione di base, come il respiro, l’appetito, il controllo sfinterico e il ritmo sonno-veglia. Non a caso utilizziamo espressioni come mi fa accapponare la pelle, avevo un nodo alla gola, ho avuto un colpo al cuore. Il sistema rettiliano istintivo si attiva quando si deve affrontare una minaccia, determinando un intenso arousal fisiologico.

Le emozioni e le sensazioni fisiche che sono rimaste impresse durante il trauma sono vissute non come ricordi, ma come reazioni fisiche devastanti nel presente. Tutto ciò, a sua volta, può innescare lo spegnimento delle emozioni stesse, attraverso il freezing o la dissociazione.

La negazione, in questi casi, è essenziale per la sopravvivenza, ma il prezzo è che si perda traccia di chi si è e di cosa si sente anche nelle altre situazioni della vita. Agency è il termine tecnico per indicare il sentimento di avere in carico la propria vita e parte dall’interocezione, cioè la consapevolezza di ciò che sentiamo all’interno del nostro corpo.

Sapere cosa proviamo è il primo passo per capire perché ci sentiamo in quel modo. Le persone traumatizzate avvertono continuamente il pericolo nel loro corpo. Dato che si sentono bombardate da segnali viscerali di pericolo, nel tentativo di neutralizzarli, le persone traumatizzate si specializzano nell’ignorarli. Molti bambini e adulti traumatizzati non possono descrivere ciò che sentono, perché non riescono ad esprimere le emozioni in parole. Tale fenomeno è definito alessitimia. Il non essere in grado di differenziare ciò che accade nel proprio corpo, causa la mancanza di contatto con i propri bisogni.

Tali persone tenderanno a registrare le proprie emozioni come problemi fisici, quindi tenderanno a somatizzare. Bowlby scrisse: ciò che non può essere comunicato all’altro (alla propria madre) non può essere comunicato a sé stessi. Il padroneggiamento dell’abilità di autoregolazione dipende, nella maggior parte dei casi, da quanto sono state armoniche le prime interazioni con i nostri caregiver.

Ricevere una risposta sintonizzata protegge i bambini (e gli adulti) dai livelli estremi di arousal. L’attaccamento sicuro fornisce una base per le relazioni del bambino, che riesce ad entrare in sintonia con le persone e sviluppa resilienza nelle situazioni di stress: impara a vivere secondo una visione condivisa del mondo. Nella risoluzione dello stress traumatico, l’obiettivo più importante è quello di ripristinare un equilibrio tra il cervello emotivo e quello razionale.

Quando siamo stimolati dall’esterno ed entriamo in uno stato di iperarousal o di ipoarousal, siamo spinti fuori dal nostro equilibrio: possiamo diventare reattivi e disorganizzati oppure obnubilati e confusi.

Finché le persone sono in iperarousal o collassano, non possono apprendere dall’esperienza. Se volessimo cambiare le reazioni post traumatiche, dovremmo accedere al cervello emotivo: riparare il sistema di allarme e riportare il cervello emotivo al lavoro ordinario, cioè prendersi cura del nostro corpo. 

La ricerca neuroscientifica dimostra che il modo in cui possiamo modificare come ci sentiamo è riuscire a diventare consapevoli della nostra esperienza interiore (auto-consapevolezza). Le persone traumatizzate convivono con sensazioni corporee indesiderate: quelle che derivano dai loro vissuti e ne hanno paura. Il paziente, pertanto, congela il corpo e spegne la mente. L’evitamento di tali sensazioni, però, aumenta la possibilità di esserne sopraffatti.

Per cambiare c’è bisogno di aprirsi alle proprie esperienze interne correnti: focalizzarsi sulle sensazioni corporee e descriverle. In seduta, pertanto, si possono valutare le emozioni, i pensieri, i ricordi e le sensazioni corporee attuali (auto-osservazione). Se prestiamo attenzione alle nostre sensazioni corporee, possiamo riconoscere il via vai delle emozioni e, di conseguenza, cercare di controllarle. Imparare a osservare e tollerare le proprie reazioni fisiche è un prerequisito importante per “rivisitare” il passato in modo sicuro.

Se non si riesce a sostenere ciò che si prova nel presente, l’apertura al passato provocherà un’ulteriore lesione, in quanto vengono rivissute ripetutamente le sensazioni legate al trauma. La mindfulness, in termini pratici, calma il sistema nervoso simpatico, così da abbassare le probabilità di cadere in meccanismi di attacco/fuga: ciò avviene grazie all’attività condivisa, relazionale e verbale tra terapeuta e paziente basata sul qui e ora. La mindfulness, pertanto, diviene integrata relazionalmente. 

Avendo acquisito una sufficiente tolleranza e consapevolezza delle loro esperienze fisiche, i pazienti scoprono che gli impulsi fisici emersi durante il trauma sono stati contemporaneamente soppressi per sopravvivere. Questi impulsi si manifestano in sottili movimenti corporei o cambiamenti evidenti, come contrarsi, ritrarsi o girarsi. Amplificare questi movimenti e sperimentare modi per modificarli avvia il processo di completamento delle “tendenze all’azione” rimaste incomplete a causa del trauma.

Le terapie somatiche possono aiutare il paziente a riposizionarsi nel presente, verificando che si può muovere in una situazione sicura. Sentire il piacere di compiere azioni efficaci ripristina il senso di potere e la sensazione di riuscire a difendersi e a proteggersi attivamente. Il trauma ci mette costantemente a confronto con la nostra fragilità e con la disumanità dell’uomo verso sé stesso, ma anche con la nostra resilienza.

 

Fonti:

  • “Il corpo accusa il corpo", Bessel Van Der Kolk, 2015, Cortina editore.
  • "Emozione e coscienza" Antonio R. Damasio, 2000, Adelphi editore.
  • "Psicoterapia sensomotoria" Pat Odgene e Janina Fisher, 2016, Cortina editore.