Amici di se stessi: come coltivare e nutrire la propria autostima

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L’autostima è uno dei pilastri fondamentali su cui costruire il proprio benessere emotivo: una percezione positiva di sé aiuta a porsi in atteggiamento costruttivo nei vari ambiti di vita (sfera lavorativa, relazioni sociali e affettività).

Ogni giorno ci sottoponiamo allo sguardo degli altri e spesso ci sentiamo giudicati, senza accorgerci che ciò che pesa realmente e profondamente sulla serenità quotidiana è soprattutto la visione che ognuno ha di se stesso.

E’ utile innanzi tutto rendersi conto di quale sia il proprio dialogo interno nei momenti di stress e frustrazione. Per esempio, di fronte ad una situazione spiacevole, come un errore compiuto sul lavoro, quali sono le frasi che mentalmente ripetiamo a noi stessi?

Qualcuno si troverà ad attribuire il proprio insuccesso a se stesso mentre altre persone tenderanno ad accusare la vita, gli altri o il destino per quanto accaduto.

A seconda del tipo di attribuzione (locus of control esterno o interno) ci troveremo dunque a fare i conti con un diverso grado di senso di colpa o impotenza, mortificazione, tristezza e rabbia.

Tale modalità dipende in parte dal temperamento di ognuno e in parte dall’ambiente familiare e dai condizionamenti subiti negli anni dello sviluppo della personalità.

Alfred Adler individua come fattori di rischio per lo sviluppo di una percezione negativa di sé un ambiente familiare troppo viziante o, al contrario, trascurante e maltrattante.

Nel primo caso il bambino si sente incapace di svolgere semplici azioni perché tutto gli viene concesso subito, i suoi bisogni vengono anticipati ed egli non impara a tollerare la frustrazione e a trovare strategie di problem solving. In tale contesto non riesce dunque a riconoscere ed utilizzare risorse e strumenti che possiede nel suo bagaglio.

Ciò accade molto di frequente al figlio unico, il quale non avendo dovuto confrontarsi e talvolta scontrarsi con nessuno ed essendo cresciuto in un mondo costruito a sua misura, può trovarsi nella vita ad incontrare maggiori difficoltà a sentirsi sicuro di sé nel momento in cui si confronta con gli altri, semplicemente perché non è abituato a farlo.

La stessa cosa accade, per motivi diversi, al bambino trascurato o maltrattato. Egli ottiene dalle figure di accudimento un rimando negativo su di sé e, non potendo accusare coloro che si prendono cura di lui di essere “cattivi” perché sono i suoi riferimenti, pensa di esserlo lui stesso.

In questo modo egli si costruisce un’immagine di sé svalutata, che lo porta ad approcciare gli eventi di vita con estrema insicurezza verso le proprie potenzialità, che non ha imparato a riconoscere.

Le persone che non hanno avuto un attaccamento sicuro alle proprie figure genitoriali e non hanno potuto sviluppare una visione coerente e positiva di sé si trovano talvolta ad essere molto insicure. In altri casi, per compensazione, possono divenire competitive e prevaricatrici perché cercano di innalzare il proprio valore personale svalutando l’altro. Alla base di questo atteggiamento si pone il sentimento di invidia, che porta al danneggiamento di chi lo subisce e dal quale è opportuno difendersi e prendere le distanze.

Qualunque sia la genesi della mancanza di autostima, è importante consapevolizzare i propri meccanismi interiori per poterli poi padroneggiare e coltivare la fiducia in sé seguendo una serie di utili strategie, per poter progressivamente divenire amici di se stessi ed abbandonare il severo sguardo autocritico.

Innanzi tutto è importante porsi degli obiettivi raggiungibili: sia sul lavoro che nelle relazioni molto spesso la stima di sé viene danneggiata dall’aver scelto un obiettivo “ideale” e poco realistico e di avere la percezione di partire già sconfitti. Prima di cominciare a “scalare una montagna troppo alta” è importante preparare tutti gli strumenti che ci serviranno per la scalata e soprattutto dividere il percorso in varie tappe.

E’ funzionale immaginare dei sotto-obiettivi, raggiungibili in breve tempo e verificabili, che diano il polso della situazione e fungano da continua verifica della direzione in cui si sta procedendo. Spesso accade infatti che, per l’ansia di raggiungere un risultato in tempi brevi, si rischi di sentire un sovraccarico tale che ci impedisce persino di partire.

Un'altra utile riflessione riguarda la necessità di rendersi autonomi dalle aspettative degli altri: sforzarsi di raggiungere un risultato per ottenere il riconoscimento altrui è un’arma a doppio taglio.

Se da un lato inizialmente ci si può sentire sostenuti e motivati dallo sguardo degli altri, in un secondo momento ci si può rendere conto di come la motivazione esterna sia molto più fragile di quella interna, che nasce dal profondo e ci aiuta a non demordere anche quando le circostanze sono sfavorevoli. Prima di intraprendere un cammino domandiamoci dunque se siamo davvero noi stessi a desiderarlo o se siamo condizionati dall’esterno, e in che misura. In questo modo saremo maggiormente in grado di essere davvero felici per i nostri successi, indipendentemente dal rimando esterno che ci verrà dato.

Un altro possibile accorgimento per incrementare la visione positiva di sé è quella di coltivare relazioni costruttive: chi non ha stima di sé spesso tende a ricercare la vicinanza di persone che gli rimandino quell’immagine negativa di cui sono vittime, perché è l’unica che riconoscono.

Basti pensare a come molte donne vittime di maltrattamenti in famiglia trovino un partner altrettanto violento e maltrattante.

Ciò accade per un meccanismo inconscio molto potente chiamato da Freud “coazione a ripetere”, in cui la persona si pone attivamente in una situazione per lei penosa ripetendo vecchie esperienze senza riuscire a risalire al prototipo. Nel momento in cui, attraverso la consapevolizzazione che può avvenire in un percorso psicoterapeutico, ci rendiamo conto di reiterare modalità disfunzionali possiamo apprendere nuove strategie per modificare il comportamento e dunque il corrispondente vissuto emotivo.

Avvicinandoci a persone rispettose ed amorevoli sentiamo crescere la stima in noi stessi e cominciamo ad accorgerci di essere degni di fiducia e rispetto, aspetti che prima non conoscevamo. In tale contesto favorevole si può cominciare anche ad accettare i complimenti e riconoscere le buone qualità che gli altri ci rimandano, a cui spesso stentiamo a credere e viviamo con imbarazzo, perché non siamo abituati a questa immagine buona che ci viene rimandata.

La relazione terapeutica risulta molto utile in tale senso, dal momento che permette alla persona di sperimentarsi in un ambiente relazionale protetto, costruttivo e incoraggiante e in un clima di fiducia che può fungere da “esperienza emotiva correttiva”.

Cominciando a sperimentarsi in contesti favorevoli, ci si accorgerà di qualità e caratteristiche personali che precedentemente risultava difficile vedere.

Immaginiamo di guardarci in uno specchio sporco ed appannato: ciò che vediamo ci appare brutto, ma non lo è realmente. L’immagine riflessa è distorta e non risponde alle nostre caratteristiche. Per dissipare la confusione può essere utile mettere a fuoco quelle che sono le proprie peculiarità, caratteristiche, interessi e qualità. Talvolta può essere utile il confrontarsi con una persona in cui si nutre stima e fiducia per rendersi conto di quanto sia realistica la percezione che abbiamo di noi stessi e cominciare a “pulire lo specchio”.

Mettendo a fuoco le nostre peculiarità possiamo anche individuare attività gradevoli in cui mettere in campo le nostre potenzialità: svolgere compiti piacevoli e per i quali ci sentiamo portati è estremamente gratificante e viene vissuto come una carezza da fare a se stessi, migliorando la quotidianità.

Possiamo inoltre modificare gradualmente il dialogo interno immaginando propositi o frasi di segno positivo che ci caratterizzano e che non siano troppo generici, provando a ripeterle mentalmente per poterle sostituire ai pensieri svalutanti che ci affollano la mente nei momenti di tensione, stress o frustrazione.

In questo modo si può divenire maggiormente consapevoli dei propri approcci disfunzionali ai problemi. Ad esempio talvolta si rischia di perdere fiducia in sé paragonandosi a qualcun altro, di cadere nell’inerzia oppure di boicottare i propri successi per timore del cambiamento.

Tali modalità vanno innanzitutto individuate per poi poterle gestire, modificare o ridimensionare.

E’ infine utile creare delle risorse interne che fungano da barriera protettiva da possibili fallimenti o commenti altrui (come ad esempio il senso dell’umorismo, la capacità di relativizzare, il saper dire di no, l’esplicitare la propria idea anche se in dissenso etc…).

Per concludere ho pensato di citare una frase di Seneca, che descrive come sia importate e salvifico il riuscire ad avere un’autopercezione positiva:

 

“Mi chiedi qual è stato il mio progresso? Ho cominciato ad essere amico di me stesso”. (L. Anneo Seneca)