Ansia e depressione: qual è il problema?

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ansia e depressione

Ancora una volta mi trovo a riflettere su quanto, da esseri umani, portiamo in noi e nelle nostre esperienze relazionali: senza rendercene conto, con la nostra essenza, influenziamo sia quello che è dentro di noi, sia quello che è al di fuori di noi.

Chiunque abbia esperienza di un caro o di un familiare sofferente per motivi psicologici, o ancor più incisivamente, per questioni psichiatriche, è a conoscenza di quanto l’essenza della persona influenzi fortemente la propria vita interiore. Al contempo ed in conseguenza, di riflesso questo si proietta anche in modo energico e preponderante nell’ambiente di vita e negli altri protagonisti di quello stesso ambiente.

La sofferenza psicologica purtroppo ha un potere magnetico, attira indiscriminatamente tutto ciò che le ruota attorno, anzi, ancor di più è possibile affermare che la sofferenza psicologica ha la peculiarità di diventare un polo magnetico, una sorta di buco nero dotato di una forza di attrazione spaventosamente forte, capace di attirare a sé tutto ciò che incontra lungo la sua strada. La sensazione è quella di sentirsi in balìa di una forza oscura a cui non è possibile ribellarsi, a cui diventa inutile resistere, a cui si cerca una soluzione attraverso il distrarsi con qualsiasi sotterfugio o fuggire in mondi artificiali o chimici.

L’esperienza di chi soffre psicologicamente è l’impotenza di opporsi a quel macigno nero nello stomaco che genera tensione e fastidio di vivere. L’impossibilità di opporsi a quel vortice destabilizzante che fagocita tutto indiscriminatamente. Quando ansia e depressione si instaurano nel quotidiano vivere di una persona, diventano l’unico schiacciante e soffocante stimolo che quella persona ed il suo ambiente di vita, ricevono. Sembra non esserci scampo, sembra non esserci rimedio o soluzione.

Da sempre ansia e depressione hanno avuto un ruolo centrale nella vita delle persone, fanno parte del nostro DNA. Volendola dire tutta, entrambe ci servono al fine di essere ciò che siamo, l’organismo più complesso che si è sviluppato su questo pianeta nelle date condizioni ambientali.

L’ansia è un meccanismo che ci consente di prevenire un pericolo, è quell’allerta di cui necessitiamo per sopravvivere. Probabilmente lo sviluppo di questa sorta di sesto senso tensiogeno, risale a quando non eravamo in cima alla catena alimentare, ma, come Primati, avevamo i nostri cacciatori, grossi e spietati. Nel corso dell’evoluzione l’ansia si è modificata in funzione delle nostre necessità: mantenendo le sue principali caratteristiche, è diventata quel campanello d’allarme che la notte non ci fa prendere sonno quando il giorno dopo abbiamo un impegno importante per le nostre vite… Improvvisamente sentiamo l’agitazione generale salire ed esplodere, diventando il nostro tutto, poiché ci siamo scordati di fare qualcosa di importante o di preparare qualcosa di nostra competenza (ho dimenticato di studiare per l’interrogazione del giorno dopo; non ho preparato quel documento per domattina a cui il capo teneva in modo particolare).

Il livello di ansia che percepiamo nel nostro corpo è necessario ad attivarci: fino ad una certa soglia l’ansia ci aiuta a conseguire una prestazione migliore. Oltre quella soglia, l’ansia ci blocca. Oltre quella soglia, si ingenera la sofferenza psicologica. Da lì in poi, veemente il buco nero si attiva, il mattone pesante e tensiogeno si materializza nel nostro stomaco, il vortice accresce incontrollato e incontrollabile e risucchia tutto, noi stessi e tutto ciò che ci sta intorno. Crollano le nostre certezze, crolla la nostra autostima, improvvisamente ci sentiamo incapaci di compiere ogni minima cosa e ci blocchiamo, letteralmente in balìa della tensione muscolare, di quella sorta di stato mentale febbricitante, lo stomaco si riempie di farfalle che con forza sbattono le ali. Può sparire la fame, può quadruplicare la fame, può spaventare l’uscire di casa, possono spaventare gli altri a prescindere da chi essi siano, soprattutto spaventa vivere, qualsiasi sia il concetto di vita che avevamo o che avremmo voluto avere.

Anche la depressione ha un’origine evolutiva: il percorso che abbiamo compiuto per diventare ciò che oggi siamo, la depressione, che è una tristezza ormai divenuta parte totalizzante del nostro quotidiano, l’ha svolto assieme a noi. Così come accade con l’ansia, se la tristezza e la depressione continuano ad accompagnarci, è perché in dosi limitate ne abbiamo bisogno. Qual è lo scopo della tristezza? Perché abbiamo bisogno di sentirci depressi? La strada della depressione parte da un punto diverso rispetto a quella dell’ansia, anche se poi, lungo il cammino spesso si sovrappongono, diventando un tutt’uno incompatibile con qualsivoglia tentativo di vivere la vita. Alcune persone e alcuni miei pazienti a questo punto si soffermano sul fatto che possono anche capire perché l’ansia ci serve, ma proprio non comprendono l’utilità della tristezza e della depressione in dosi accettabili. La depressione è un qualcosa di più fino, forse anche più evoluto, infatti gli organismi meno evoluti, pur mostrandone traccia, non ne mostrano le medesime caratteristiche. È come se la nostra mente, per elaborare alcuni vissuti, abbia bisogno di chiudersi nella tristezza e nella depressione prima di tornare ad aprire le gemme delle sue virtù.

L’esempio più immediato che mi viene in mente è quello relativo al lutto ed alla sua elaborazione. Senza trascendere nelle esperienze maggiormente destabilizzanti, possiamo limitarci a riflettere su cosa accade quando, dopo un paio di anni di fidanzamento, una coppia interrompe la relazione, la storia d’amore finisce ed ognuno va per la sua strada. Anche in questo caso si parla di lutto perché l’accaduto rappresenta una perdita: la perdita di qualcosa che si aveva e che da quel momento non si avrà più; ciò non è riferito solo alla perdita della persona, ma anche alla perdita di tutta quella serie di cose immateriali che comportano l’amore.

In una situazione come questa i protagonisti vengono attanagliati dalla tristezza, improvvisamente il quotidiano è un lungo trascinarsi nel dolore e nel pianto, al di là di come tutto questo venga soggettivamente vissuto o espresso. Improvvisamente ci si percepisce come inutili, incapaci, pieni di sensi di colpa, arrabbiati, ci si sente vittime innocenti e si farebbe di tutto per cercare di tornare alla realtà che al contrario tanto ci faceva essere felici. Questo momento depressivo ci costringe a chiuderci in noi stessi, allontanarci dalla società ed effettuare una rielaborazione emotiva interna al fine di generare una crescita e un rafforzamento interiore.

Concretamente in questa fase ciò di cui abbiamo bisogno è di elaborare il lutto, ossia realizzare che il quadro che vivevamo precedentemente non esiste più e bisogna realmente accettare che le cose siano cambiate e che tale cambiamento sia irreversibile ed irrevocabile. Quando questo lutto verrà realmente elaborato si uscirà dalla dinamica depressiva e a piccoli passi si tornerà a vivere la propria vita ricominciando a percorrere la nostra strada nel nuovo contesto. Piccole dosi e piccoli periodi di depressione servono proprio a questo, non c’è altro modo. Se muore qualcuno per noi importante e non si è tristi e depressi, la cosa è fortemente preoccupante! Con la depressione il problema nasce nel momento in cui trascorrono i giorni, passano le settimane, si strappano le mensilità dai calendari e trascorrono gli anni, ma tutto resta immutato, si vive o si tenta di sopravvivere nel vortice di questa asfissiante e soffocante tristezza, di questa paralizzante depressione che non ci lascia mai tirare un sospiro di sollievo.

Quando la depressione prende il sopravvento la nostra vita è in sua totale balìa. Quasi come fosse una sostanza di dipendenza non riusciamo a farne a meno, non riusciamo ad uscirne fuori nemmeno per un istante. La mattina non abbiamo voglia di alzarci dal letto, perché tanto è tutto inutile, alzarsi o meno non toglie quella tristezza (ci convince la depressione) lavarci o meno non cambia la nostra vita (ci convince la depressione) andare al lavoro o meno non farà tornare l’amata perduta cambiando la nostra vita (ci convince la depressione) stramangiare o non mangiare, non potrà mai influire sul nostro stato d’animo, tanto il cibo ormai non ha più sapore (ci convince la depressione) oppure resta l’unica consolazione (ci convince la depressione).

La depressione ci convince che la miglior cosa è restare in camera, possibilmente con le finestre e le imposte chiuse, ci convince che l’unica cosa per cui vale la pena vivere è quel videogioco, quella consolle, quel social network e poco altro. La depressione ci può convincere che non abbiamo bisogno di alimentarci granché, oppure al contrario che per riempire quel vuoto è possibile tuffarsi in copiose abbuffate che non hanno sapore, ma solo la capacità di illuderci di aver ricevuto quella coccola meritata. Se si lascia alla depressione fare il suo lavoro, il ritiro dalla società sarà lento ma implacabile, sarà totale e al di là di brevi fughe in mondi chimici o artificiali, ci annulleremo totalmente, rinunciando a vivere la nostra vita.

Pur avendo un’origine diversa, ansia e depressione hanno la peculiarità di sostenersi a vicenda, sembrano come gemelle di sventura, lo fanno oggi, ma lo facevano anche alla fine dello scorso millennio. L’ansia chiama la depressione, oppure la depressione attira l’ansia. Sembra di assistere ad un macabro balletto in cui l’una alimenta l’altra e vicendevolmente si fanno forza e coraggio, annientando la volontà dell’individuo in cui albergano.

Purtroppo questo avviene perché ansia e depressione hanno conseguenze sull’individuo spesso sovrapponibili, entrambe minano l’autostima, l’autoefficacia; possono togliere l’appetito o aumentarlo, la voglia di stare con gli altri; entrambe tendono a farci ritirare socialmente e ad evitare stimoli. Spesso chi soffre di ansia e depressione non si fida degli altri, non si fida del mondo esterno, ma non si fida nemmeno delle proprie capacità. Si genera la necessità di ritirarsi da tutto ciò che può essere stimolo. Quante volte seduto di fronte ai miei pazienti ho ascoltato la sofferenza derivante dal non riuscire a dormire in modo continuo e sereno, quanti racconti della sofferenza di persone che angosciate trascorrevano le notti a guardare il soffitto. Ansia e depressione ci tolgono anche quel basilare e fondamentale piacere del dormire. E quante rabbie e quante angosce si generano a catena per tutto questo.

Ma ansia e depressione nel loro snervante e soffocante danzare, hanno anche la peculiarità di alimentarsi reciprocamente. Una persona depressa tenderà ad isolarsi, isolandosi perderà la fiducia nelle proprie abilità sociali, da questo deriverà l’ansia di dover uscire per andare al supermercato, l’ansia di dover andare al supermercato alimenterà soluzioni alternative per superare tale ostacolo, questo porterà la persona ad ordinare la spesa tramite internet e farsela recapitare a casa. Fare questo alimenterà la convinzione che l’individuo può attenuare l’ansia relativa all’uscire per andare a fare la spesa utilizzando internet, ma ciò rafforzerà il senso di allontanamento dagli altri e dalla società, per cui aumenterà il bisogno di stare soli ed isolarsi nella propria camera facendo in modo che quel gigante nero della depressione diventi sempre più ingombrante e soverchiante.

Quando quell’individuo sarà costretto ad uscire di casa per andare ad una visita medica, cercherà in tutti i modi di evitarla, ma poi, dopo alcune rinunce, messo alle strette uscirà in preda alle ansie e una volta in strada sentirà la testa girare, le vertigini prendere il sopravvento, il respiro correre più dei battiti cardiaci nel petto e alla fine, l’unica via di fuga sarà perdere i sensi e lasciarsi cadere a terra. Passato l’attacco di panico, una volta rinvenuta nel proprio letto con qualche livido e qualche escoriazione, quella persona sarà sempre più convinta che uscire, andare in mezzo alla gente, avere esperienze sociali, sia fortemente deleterio, per cui ci si isolerà ancora di più all’interno delle mura della propria stanza… E questo balletto macabro di ansia e depressione che si alimentano vicendevolmente ingigantendosi e fagocitando la persona, andrà avanti all’infinito. Senza la minima speranza di poterne uscire. Ansia e depressione diverranno così ingombranti e schiaccianti che l’unico modo per sopravvivere sarà quello di adattarsi al loro volere, proprio come il suddito della peggiore dittatura possibile.

Perché alla fine dello scorso millennio ed all’inizio di questo nuovo, ansia e depressione siano diventate le problematiche più diffuse, è difficile da dire. In una battuta potremmo dire che, psico-socialmente ed economico-culturalmente, il mondo che ci siamo costruiti tende ad incentivarle, ma le variabili in gioco sono talmente tante che sarebbe superficiale limitarsi a questo. I posteri e gli studi scientifici sapranno dare nel corso del tempo risposte più complete a quesiti a cui possiamo rispondere oggi solo in modo parziale.

Ciò che realmente conta è che ansia e depressione si possono sconfiggere, l’ho visto accadere di continuo, davanti ai miei occhi. Al fianco dei miei pazienti ho combattuto dure ed estenuanti battaglie e ho visto trionfare tutti coloro i quali non hanno smesso di combattere, non che non abbia assistito a momenti difficili, a regressioni, a dubbi e ripensamenti, ma ogni volta, sostenendo la strada “sana” da percorrere, ho visto rinascere persone dalle loro ceneri e riprendersi in mano la propria vita e il proprio mondo.

Ogni paziente può scegliere, ogni psicologo può offrire, il modo di combattere che ritiene più opportuno, l’importante è che da un lato ci sia la voglia di generare un cambiamento a tutti i costi (lo psicologo) e dall’altro, si voglia veramente essere aiutati ed uscire dalla patologia e dalla sofferenza (il paziente).