Quando non va come immaginato: dare voce al lutto perinatale

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lutto perinatale


Il dolore invisibile: riconoscere il lutto perinatale

Il lutto perinatale, la perdita di un neonato, il lutto in gravidanza, la morte fetale, l’aborto spontaneo, la perdita precoce di un figlio: sono modi diversi per indicare la scomparsa di un bambino durante la gravidanza e nelle prime settimane o giorni di vita. Eventi che accadono da sempre, purtroppo spesso senza una causa chiara, e che rappresentano una delle esperienze psicologicamente più difficili, intense e complesse sia per la madre che per la coppia.

Eppure, si tratta spesso di un dolore invisibile agli occhi della società: non ritualizzato, non accolto, non riconosciuto. Ma un lutto che non viene riconosciuto rischia di trasformarsi in un dolore silenzioso che si cronicizza, perché non trova uno spazio (anche sociale) per essere espresso.

Molte madri raccontano di aver provato colpa, fallimento, vergogna: sensazioni amplificate da un contesto che spinge a “riprendersi in fretta” ed a “guardare avanti”, spesso senza neppure nominare l’evento come una perdita significativa, mentre invece è a tutti gli effetti la perdita di un figlio. Si potrebbe dire in genere che la società non riconosce né il lutto, né il “diritto al dolore” di chi lo vive.

ln occasione di queste situazioni, lo psicologo perinatale ha il delicato compito di offrire uno spazio sicuro, accogliente e privo di giudizio, dove il dolore possa emergere in tutte le sue forme. Non è necessario trovare risposte, ma facilitare la presenza, la parola, il ricordo. Il percorso psicologico può includere la ricostruzione degli avvenimenti, la ricomposizione del legame con il bambino, la co-costruzione di significati e simboli. Metodi e strumenti sono molteplici, dunque la scelta di quali utilizzare viene fatta caso per caso: rimane tuttavia fondamentale il rispetto dei tempi della madre e della coppia, favorendo una narrazione che non forzi ma accompagni - accogliendo ogni emozione così com'è.


Uno strumento utile: il Diario del Cuore

Tra gli strumenti che spesso propongo, c’è il Diario del Cuore: uno strumento semplice, ma spesso prezioso.

Si tratta di un quaderno personale in cui la madre – o entrambi i genitori – possono scrivere tutto ciò che sentono: pensieri, emozioni, lettere al bambino, ricordi.

A livello terapeutico, la scrittura favorisce la simbolizzazione e la rielaborazione del trauma, aiutando a dare forma e continuità a un legame che, sebbene interrotto fisicamente, mantiene un profondo significato emotivo e simbolico.

Il Diario può essere suggerito come “compito” tra una seduta e l’altra, oppure come risorsa personale da utilizzare liberamente - secondo i propri tempi e bisogni - durante tutto il percorso di lutto.

Alcune madri scelgono di portarlo avanti nel tempo, altre di collegarlo al superamento del momento più critico; ci sono madri che condividono il Diario con i padri o con le persone più care e vicine, altre lo custodiscono come un rituale intimo e privato. Tutte le modalità sono valide, perché ciò che conta è offrire uno spazio sicuro dove il proprio sentire possa trovare voce e accoglienza.


I vissuti emotivi e corporei nella perdita

La perdita perinatale ha un impatto profondo sull’identità materna e sulla connessione corpo-mente.

Durante la gravidanza, il corpo diventa uno spazio fisico e psichico di attesa - cambia, si trasforma, si prepara. Quando quella nuova vita si interrompe, però, il corpo della madre può diventare un luogo traumatico, percepito da lei stessa come estraneo, doloroso, talvolta persino rifiutato.

In certi casi, nei giorni successivi alla perdita, il corpo della madre diventa una sorta di sepolcro, costretto a contenere il dolore più grande: il corpicino del proprio bambino, in attesa di un’operazione o di un’espulsione naturale. In altri, può sopraggiungere un'emorragia improvvisa e scioccante, che segna la memoria della madre anche a distanza di anni.

Il corpo continua a produrre ormoni della gravidanza, anche dopo la perdita, impedendo spesso alla mente di elaborare e “chiudere” il vissuto. È come vivere una gravidanza fantasma, dove la mente sa che la pancia è oramai vuota ma il corpo non lo ha ancora compreso.

E poi c’è il lutto neonatale, quando il bambino muore appena prima o poco dopo il parto: un evento che trasforma il giorno che doveva essere il più bello in uno dei più dolorosi e impensabili.

Ma non esiste una gerarchia del dolore: che si tratti di un test negativo dopo un percorso di PMA o della morte improvvisa di un neonato, nel momento in cui ricevono la notizia il cuore dei genitori si spezza nello stesso modo.

È fondamentale poter parlare di queste esperienze. E se la società non è ancora pronta ad ascoltare, uno psicologo può offrire uno spazio sicuro, in cui narrare, simbolizzare, dare significato all’accaduto. Un luogo di accoglienza e contenimento, in cui i genitori possano essere accompagnati, sostenuti e aiutati - anche con strumenti concreti e rituali simbolici - nel delicato processo dell’elaborazione del loro lutto.

Dare voce al dolore non è solo un atto terapeutico: è un gesto di umanità.

È un segno che la società può cambiare, diventare più sensibile, più pronta ad ascoltare, a vedere, a riconoscere il vissuto emotivo profondo di chi ha perso un figlio, in qualsiasi momento del suo viaggio.

Il lutto perinatale merita uno spazio autentico – nella clinica, nella società, nella cultura – affinché chi vive questa perdita possa sentirsi accolto, rispettato e legittimato nel proprio dolore.

Troppo spesso, invece, questo tipo di lutto viene ancora trattato come un tabù, un silenzio da mantenere, qualcosa che “non si racconta” – o addirittura talora minimizzato, quasi fosse un “incidente di percorso”.

Come professionisti, è fondamentale riconoscere che la sofferenza psichica legata a queste esperienze può manifestarsi in modo frammentato, anche a distanza di anni: ansia, depressione, difficoltà relazionali o blocchi nei successivi percorsi di gravidanza. Se il dolore non viene riconosciuto e vissuto, rischia di trasformarsi in una ferita aperta che - col tempo - può aggravarsi invece di rimarginarsi.

È importante affermare con chiarezza che si tratta di un lutto vero e proprio, a prescindere dal momento della gravidanza in cui avviene. E come ogni lutto, ha bisogno di tempo, ascolto, elaborazione: solo attraversando tutte le sue fasi può, con il tempo, essere superato.

Non per dimenticare, ma per integrare. Non per cancellare, ma per curare.