Anoressia, femminilità e adolescenza, quale nesso?

Pubblicato il   / Psicologia e dintorni
Anoressia, femminilità e adolescenza, quale nesso?

Il termine anoressia sta ad indicare la mancanza del senso dell’appetito e si riferisce ad un disturbo alimentare caratterizzato dalla riduzione più o meno grave dell’assunzione di cibo, che in alcuni casi può portare ad un dimagrimento letale.

Oltre dall’inappetenza il sintomo anoressico è spesso caratterizzato dalla scomparsa dei mestrui. In alcuni casi, la restrizione alimentare è intervallata da crisi bulimiche, caratterizzate da abbuffate compulsive di una notevole quantità e varietà di cibo che indicano un improvviso cedimento delle proprie capacità di autocontrollo.

In questa circostanza, il tentativo di controllare il peso, ugualmente presente, viene attuato con il vomito autoindotto o con l’abuso di farmaci lassativi e/o diuretici.

Più specificamente nella Quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) l’anoressia è definita da:

A. Restrizione nell'assunzione di calorie in relazione alle necessità, che porta a un peso corporeo significativamente basso nel contesto di età, sesso, traiettoria di sviluppo e salute fisica.

B. Intensa paura di aumentare di peso o di diventare grassi, oppure un comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso, anche se significativamente basso.

C. Alterazione del modo in cui viene vissuto dall'individuo il peso o la forma del proprio corpo, eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di autostima, oppure persistente mancanza di riconoscimento della gravità dell’attuale condizione di sottopeso.

L’anoressia è caratterizzata oltre che da questi sintomi anche da altri come l’iperattività, il disinteresse per la sessualità e per le attività sociali, il perfezionismo, la bassa autostima, la paura di crescere.

Secondo quanto pubblicato dal Ministero della salute i disturbi del comportamento alimentare (DCA) in generale e l’anoressia in particolare, rappresentano una patologia in aumento negli ultimi decenni, soprattutto nei Paesi Occidentali e nettamente più frequente nelle donne e nella fascia di età adolescenziale-giovanile.

Nei maschi i DCA in senso stretto sono un fenomeno relativamente raro, mentre diventano sempre più frequenti disturbi in cui è centrale la continua e ossessiva preoccupazione per quanto riguarda la propria massa muscolare anche a discapito della propria salute (vigoressia o anoressia inversa).

Per quanto riguarda la fascia di età, l’esordio si manifesta più spesso tra i 15 e i 19 anni. Nella forma abituale, la restrizione alimentare è progressiva e spesso in un primo momento passa inosservata accostata alle comuni preoccupazioni per la dieta.

Il Ministero della salute considera, pertanto, tra i fattori di rischio, accanto a quelli socioculturali, il genere femminile e l’età, ovvero l’adolescenza.

L’anoressia, in sostanza, sembra riguardare prevalentemente giovani donne nella fase adolescenziale, infatti, anche se spesso si assiste alla permanenza di tale disturbo in età adulta, l’esordio a ben guardare in questi casi è il più delle volte adolescenziale.

Cosa accade alle donne in adolescenza?

E’ la domanda che molti si sono di conseguenza posti. Molti studi hanno così approfondito quanto accade alla ragazze durante l’adolescenza individuando nell’arrivo del menarca, lo sviluppo dei caratteri sessuali primari e secondari, la montata pulsionale eventi che richiedono un delicato processo di elaborazione ed una riorganizzazione anche dei rapporti con le principali figure di riferimento, in particolare con quelle genitoriali.

I ragazzi in questa fase, infatti, devono potersi separare emotivamente dai propri genitori e allo stesso tempo potersi identificare con essi per poter costruire un’identità adulta.

Alcuni studiosi hanno considerato l’anoressia un tentativo di proteggersi dalle pulsioni e dai desideri specie di natura sessuale tipici di questa fase, sentiti tanto angoscianti da poter distruggere.

Il sintomo anoressico avrebbe pertanto la funzione di chiudere l’accesso a tutto ciò che proviene dal di fuori e azzerare al minimo i propri bisogni e desideri.

Interessanti a tale riguardo le considerazione circa la “Sindrome del Vietato l’Accesso” di Polacco Williams recentemente ampliata da Cotrufo. Gran parte degli studi in particolare in ambito psicoanalitico si sono, inoltre, concentrati sul rapporto madre-figlia guardando all’anoressia come un tentativo disperato di emergere dalla simbiosi che lo caratterizzerebbe.

La ragazza in sintesi attaccherebbe il proprio corpo per colpire la madre, per esprimere, anche si in modo certamente disfunzionale, per la prima volta un volere opposto al suo, il “No, non voglio mangiare”.

Altri studi hanno inoltre allargato lo sguardo anche al padre, individuato come una figura assente, proprio a tale assenza farebbe da contraltare il rapporto fusionale madre-figlia. I terapeuti della famiglia hanno ampliato ulteriormente l’orizzonte alle dinamiche familiari nell’intera famiglia, parlando di “famiglie anoressiche”.

Da questa prospettiva, infatti, il membro della famiglia portatore di una patologia, come può essere quella anoressica, si fa “portavoce” di un malessere e di una modalità di funzionamento dell’intero sistema familiare.

Da diversi studi condotti in ambito clinico, si tratterebbe di famiglie invischiate, in cui tutti sanno tutto di tutti, non vengono rispettati i ruoli ed i confini tra i membri.

Riuscire a dare senso al sintomo anoressico, può in tali situazioni, comportare un riassetto generale delle relazioni nella famiglia in cui a ricavarne un beneficio sarebbe non solo la ragazza anoressica, ma anche gli altri membri. E’ come cogliere l’occasione di usare il sintomo per la crescita dei singoli membri e dell’intera famiglia.

Un approccio di cura all’anoressia, che non sia esclusivamente di tipo riabilitativo come purtroppo ancora tristemente accade, consente di dare un senso al suo sintomo e di collegarlo alla vicenda esistenziale della persona. Significa guardare all’anoressia non solo come ad una riduzione dell’assunzione del cibo, aspetto questo che è solo quello più evidente, ma come “a-norexia” ovvero mancanza di appetito, di desideri, in generale.

E’questo in particolare l’obiettivo della psicoterapia con pazienti anoressiche, capire, dare senso e aiutarle a darsi la possibilità di entrare in contatto non solo con il cibo ma con l’intera dimensione desiderante. Darsi la possibilità di desiderare, di dire “Io desidero”, lasciando andare la paura che questo possa distruggere.