Giovanni  domande di Ansia e depressione  |  Inserita il

Palermo

Come affrontare lo sconforto derivante dalla disoccupazione?

A diciotto anni mi iscrissi a giurisprudenza trasferendomi in una grande città. Non so cosa mi passava per la testa all’epoca. Avevo frequentato il liceo classico e non avevo idea di cosa fosse il diritto. Probabilmente la mia passione per la politica mi convinse a tale scelta, nonché la possibilità di trovare impiego più facilmente in quanto avevo scelto un’università privata dove i miei genitori avrebbero investito tutti i risparmi della loro vita contando sulla sicura resa dell’investimento, sulla base di quanto letto in internet e sentito da altre persone.
Soltanto una materia mi piacque del mio primo anno universitario, ma mi dissi di aspettare perché non ero entrato nel vivo delle materie. Al mio secondo anno di università la storia non cambiò, e anzi, notavo che i primi amici/colleghi con cui avevo stretto, che si laureavano col massimo dei voti, erano tirocinanti con un rimborso spese misero in grandi città quali Roma e Milano, ma mi dissi che dovevo dar loro tempo di fare carriera e che senz’altro l’investimento della retta in un’università privata sarebbe stato conveniente per la mia famiglia.
Ciò nonostante, in seguito a due intossicazioni alimentari cominciai ad avere crisi di panico. Inoltre, alcuni miei colleghi avevano cambiato facoltà adducendo proprio la crisi occupazionale dei laureati in giurisprudenza e perché il sacrificio economico e mentale non valeva assolutamente la pena. Queste frasi che ascoltavo appena ventenne suscitavano in me un’ansia molto intensa, come se fossero un campanello d’allarme per riflettere. Ma i miei genitori erano stati chiari due anni prima: “Devi valutare bene se vuoi proseguire in questa scelta, e devi prometterci che casomai andrai in fondo responsabilmente”. Ecco, non era facile per me dire ai miei che avevano buttato nel cesso ventimila euro tra rette e canoni d’affitto, per cui continuai il mio percorso universitario mettendoci il 100%, proprio perché sapevo quanto fosse difficile la situazione occupazionale dei giuristi. Ho svolto un percorso di studi all’estero, svolto esperienze lavorative durante gli studi, ho pubblicato la mia tesi in inglese presso una casa editrice, mi sono laureato col massimo dei voti terminando gli esami in anticipo. Mi specializzai, dietro consiglio di alcuni professionisti già dal secondo anno sul diritto e il rapporto con le nuove tecnologie e collaborai con alcuni Professori nella stesura di alcuni articoli su riviste. Tutto ciò non è bastato.
Proprio a causa degli attacchi di panico e per il fatto che a vent’anni mi rifiutavo di mangiare per i turbamenti dovuti a questi pensieri, mi ero rivolto ad uno psichiatra, che in due mesi mi convinse a ritornare a mangiare e soprattutto mi disse la frase più importante della mia vita: “Per la tua educazione, tu hai vissuto tutta la tua vita pensandoti come un demiurgo in grado di calcolare e prevedere esattamente il tuo destino, nella tua filosofia di vita non hai mai considerato il divenire e la causalità della tua vita. Ti sei reso conto di alcuni dati fortemente negativi sulla scelta che hai fatto e non sei in grado di accettarli e affrontarli”.
Il “divenire” … effettivamente non lo avevo mai considerato quando immaginavo il mio futuro. Ero cresciuto con l’idea che se ti studi, ti impegni e se ti laurei col massimo avresti ottenuto un bel lavoro remunerato con i tuoi diritti sindacali rispettati, non immaginando minimamente la crudità della realtà. Dopo aver acquisito questa verità, continuai dal mio terzo anno fino alla mia laurea a frequentare due psicologi per affrontare il fatto che, pur rendendomi conto dell’incertezza che connatura le nostre vite, non riuscivo minimamente ad accettare il fatto che i miei avessero sprecato soldi e che il mio impegno su materie giuridiche che mi facevano disgustare fosse stato vano. Il primo psicologo dopo un anno a discutere con me, riconobbe di non avere gli strumenti per aiutarmi e mi consiglio un altro professionista. Neanche quest’ultimo non è riuscito a risolvere il mio problema per il mio male di vivere: avevo studiato qualcosa che non mi piaceva per cinque anni impegnandomi al massimo, non vedevo alcun laureato brillante attorno a me che si stava costruendo un futuro stabile e convincente che avrei invidiato anche in astratto. Il migliore prendeva 1400€ mensili lavorando 14 ore al giorno senza ferie e senza diritti a ventotto anni, iper-specializzandosi in un settore del diritto che non gli permetteva di cambiare agevolmente studio legale e questi erano i fortunati che si erano specializzati in un settore economico!
I miei amici di una vita invece si erano costruiti, nel nostro contesto economico depresso, un futuro degno con scelte ponderate, chi frequentando università triennali molto pratiche, chi come tecnico qualificato col diploma. Io invece sono stato l’unico a fare una scelta folle, che non mi ha procurato alcunché se non tristezza e disperazione. C’è chi mi dice che sono giovane, ma a ventisei anni sento il bisogno impellente di avere un futuro stabile, ho una ragazza e amici e sento che manca questo tassello fondamentale nella mia vita. Voglio scoprire il mondo, viaggiare, e avere tra qualche anno un figlio dopo che sentirò di avere realizzato i miei desideri, le mie aspirazioni e le mie passioni.
Tuttavia, a due anni dalla laurea sento in me questo dolore inconfessabile nel mio cuore, per avere fatto spendere inutilmente i soldi di una famiglia di ceto medio in un percorso universitario inutile, inflazionato, incattivito e non meritocratico. Quando ne parlavo con gli amici venivo allontanato per la mia negatività e ora trattengo questo immenso dolore dentro di me, privandomi di piangere per non far dispiacere chi mi circonda e che mi vuole bene. Ho provato a candidarmi per qualsiasi posizione in tutta Italia, inviato CV ovunque, costruito una rete sociale su LinkedIn ma tutto è inutile. Studio per tutti i concorsi pubblici banditi svogliatamente, sento di avere esaurito tutta la mia energia su un percorso che speravo essere temporaneo, e invece sono condannato senza soldi a studiare sempre le stesse cose nell’aspettativa di passare un concorso pubblico e senza reinventarmi in un percorso universitario. Nel mentre, nessun giurista che conosco ha una vita che invidio. Per carità, sono tutti under 35, e tuttavia non mi curo di chi mi dice di crederci, di fare gavetta come neo-avvocato. Io non ho alcuna rete sociale e mi fa schifo essere un avvocato e di avere a che fare con clienti che pretendono di non pagarti perché ancora non sei nessuno. Alcuni studi legali dove ho svolto un tirocinio mi dicono: “Sei bravo e se ci credi, a quarant’anni potrai avere tanti clienti e potrai essere felice”. Ma a me non frega nulla, cazzo. Non mi interessa sapere che se continuo e se ci credo, prima o poi anche io potrò essere felice con un bel lavoro remunerato con clienti selezionati. Io so che sono vivo ora, che ho studiato anni materie che non mi piacevano e che i miei amici guadagnano bene avendo studiato altro e per meno tempo e con meno impegno. Io voglio il futuro ora perché ho vissuto tutta la mia vita senza pensare al presente. Ora non voglio rimandare più nulla.
Ciò che è irriverente è che invece la necessità della vita mi impone di tenere alto il morale e di motivarmi a stare ancora sui libri in quanto un concorso potrei anche passarlo, nonostante i miei desideri di vedermi come super avvocato all’interno di aziende. Ma non riesco più a studiare ciò che non mi piace, guardo i libri con sguardo spento e per questo ammetto che non riesco a passare un concorso. La verità è che dentro di me ammetto che un concorso è uno spreco per l’impegno che ho profuso in passato. Per un concorso potevo frequentare tranquillamente un’altra università, pubblica, magari triennale, laureandomi col minimo e partire come tutti gli altri in egual misura per affrontarlo, e anzi, avrei avuto anche più energie visto che “non sono uno studioso per natura”, ma avevo stipulato un patto con me stesso… un patto basato sulla temporaneità dei miei studi accademici.
E ora sono qui, sfiduciato dagli psicologi che ho incontrato in passato che, dopo un anno a testa mi hanno ammesso di non riuscire ad analizzare le mie problematiche, consigliandomi sempre altri nomi.

  1 Risposte pubblicate per questa domanda

Dott.ssa Elena Marastoni Inserita il 12/10/2020 - 22:28

Giovanni, nei suoi pensieri io mi perdo. Deve essere molto faticoso capire che strada percorrere, se anche lei (come mi sono sentita io leggendola), si perde in tutti questi pensieri. Mi sembra che la paura la blocchi (paura di fallire? paura di impegnarsi?). Dice che gli psicologi 'hanno ammesso di non riuscire' ad aiutarla, non mi stupisce, perchè sembra che lei metta in gioco un piano per auto-sabotarsi. Credo che il punto sia: quale responsabilità sente di avere in ciò che le è successo? Da dove vuole iniziare ?