Il Limite

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Il Limite

Una griglia metallica e una siepe possono rappresentare un ostacolo, ma: la griglia può essere rappresentata come un ostacolo che chiude imprigiona, impedisce e quindi induce il soggetto a tentare di varcare e superare l'ostacolo.
La siepe non mostra ciò che sta' al di là di essa, non viene percepita come un ostacolo che imprigiona e quindi porta il soggetto a deviare il suo percorso. (Morton, 2004)

Per introdurre il concetto di limite possiamo iniziare considerando il significato etimologico, in quanto è interessante notare che deriva da due differenti sostantivi latini, ossia limes, limitis e limen, liminis.
Il primo assume un'accezione negativa di confine, che costituisce per l'uomo una barriera invalicabile e che, dunque, lo segrega in uno stato di prigionia; al contrario, il secondo ha il valore di soglia, ed è per l'uomo passaggio, apertura verso nuovi orizzonti.

Cos'è dunque il limite? Un confine che limita o una soglia che apre?

A mio avviso è piuttosto presuntuoso se non limitativo, anche se forse rassicurante, tentare di fornire una sola risposta a tale quesito.
Prima di addentrarci nel vivo del ragionamento, in primo luogo sarà scontato sottolinearlo, ma la valutazione e interpretazione del limite è soggettiva per ciascun individuo. Ognuno stabilisce e pondera “il proprio limite” in relazione alla propria sfera di valori.
Infatti, per allargare il focus credo sia opportuno introdurre un termine di paragone.
Forse è proprio questo il fulcro, non c'è limite se non in relazione a qualcos'altro.
Nella nostra quotidianità vi è un uso frequente di frasi relative al limite: Basta, sono arrivato al limite, la pazienza ha un limite, tutto ha un limite, ho toccato il fondo, non c'è limite al peggio.

Analizzando queste accezioni è possibile osservare due caratteristiche: l'attribuzione di significato soggettiva del limite e la capacità di tolleranza/sopportazione soggettiva dello stesso.
In altri termini ciascuna persona ha un proprio limite relativo ad una determinata sfera, come ad esempio: lavoro, affettività, amore (compiti vitali).
A mio avviso rispetto alla percezione soggettiva che l'individuo conosce/accetta delle proprie risorse e potenzialità, relative ad una determinata sfera, può riconoscere la propria capacità prestazionale nell'affrontare tale obiettivo.
La discrepanza tra le capacità reali, ovvero le capacità possedute, e le capacità ideali, ovvero le capacità percepite dal soggetto, costituiscono la reale capacità d'azione di ciascun individuo.

Il Limite

Nel Test di Rorschach tale asserzione può essere ricollegata al rapporto tra potenzialità reali e aspettative del soggetto: G/K.
Tale forza d'azione si manifesta con il comportamento del soggetto in virtù di un fine da perseguire. E' possibile dedurre quindi come l'esito di tale comportamento, in relazione al perseguimento dell'obiettivo, condurrà il soggetto ad un'esperienza di successo o insuccesso.
Non dimentichiamo però che la capacità d'azione del soggetto deve essere analizzata in relazione al contesto in cui si verifica e non può prescindere da esso.
Per chiarire tale ragionamento ci può essere d'aiuto la famosa euristica di Kurt Lewin, il comportamento ( C ) viene visto come una funzione (f) dell'interazione tra la persona ( P ) e l'ambiente ( A ) concetto sintetizzato da Lewin con C= f (P, A).
Nel momento in cui il soggetto esperisce un fallimento o un successo in relazione ad un obiettivo, verifica una sua capacità.
L'incontro fra la capacità soggettiva (capacità reale/capacità ideale) e il risultato al compito segna l'impatto con il reale.

Cosa succede quando una persona si confronta/scontra con il reale?

E' inevitabile, o quasi se non consideriamo soggetti patologici, che l'incontro con il reale porta ad una constatazione dei propri limiti.
Se procediamo nel nostro ragionamento potremmo visualizzare questi punti nodali come segue:

  1. determinazione di un compito;
  2. prestazione;
  3. successo/insuccesso;
  4. verifica delle proprie capacità;
  5. riconoscimento;
  6. accettazione.

Il tentativo riduzionistico di definire tali processi di pensiero è stato adottato al fine di semplificare tale riflessione.
Considerando la singolarità e irripetibilità di ciascun individuo nell'affrontare i compiti della vita non tutti avranno, potranno, desidereranno mettersi nella condizione di esperire queste varie fasi.
A mio avviso infatti potremmo definire questi differenti passaggi come “livelli di consapevolezza”.

Ritorna la domanda:

Cosa succede quando una persona si confronta/scontra con il reale?
Chi è disposto a fare i conti con i propri limiti? A che prezzo?

In primo luogo riconoscere i propri limiti non equivale ad accettarli.
Riconoscere indica la focalizzazione di una determinata caratteristica in relazione a qualcos'altro.
Conduce l'uomo a specchiarsi, ciò a mettersi di fronte a se stesso, nel tentativo di potersi riconoscere.
Significa fare i conti con la finitudine dell'uomo, ovvero la condizione di essere finito, limitato e imperfetto.
Comprendere la finitudine dell'uomo vuol dire essere disposti a fare i conti con la morte.

Ecco il limite naturale che regola tutto e tutti: la morte. Questo limite alla vita permette di dare un senso e un valore alla nostra stessa esistenza.
La morte definisce la precarietà dell'uomo, scandisce il tempo della sua vita terrena.
Riconoscere questo limite naturale è dunque anche una questione narcisistica, poiché ridimensiona l'onnipotenza dell'essere umano, costringendolo ad affrontare la propria morte.
Da quanto sopraccitato se ci fermassimo a considerare la morte come il limite alla vita tutto apparirebbe abbastanza chiaro, ma le domande seguitano spontanee: Siamo certi che la morte sia il limite alla vita?O forse la morte è il limite alla vita terrena?Che cosa c'è dopo la morte?
A queste domande l'uomo ha provato a rispondere attraverso la religione. La fede cristiana fa coincidere il limite con la dottrina del dogma, il limite imposto da Dio.

A tale proposito sovviene alla mia mente la poesia:

Mattina

M'illumino d'immenso.

In questa composizione poetica Giuseppe Ungaretti esprime l'illuminazione dell'improvvisa consapevolezza del senso della vastità del cosmo. Il messaggio che intende comunicare è la fusione di questi due elementi contrapposti: il singolo, ciò che è finito, si concilia con l'immenso, ritrovando nella luce il principio e la possibilità di tale fusione.
E' un momento in cui il finito e l'infinito si uniscono quasi in un unico elemento: non esiste più niente intorno, solo una grande luce che origina un momento di intuizione nel quale egli si mette in contatto con l'assoluto.

Cosa significa limitarsi? Limitarsi rispetto a cosa? Perché?

In primo luogo è necessario saper riconoscere i propri bisogni.
Infatti in psicologia il bisogno è la mancanza totale o parziale di uno o più elementi che costituiscono il benessere della persona.
Ricordiamo qui di seguito l'autore Abraham Maslow che elaborò tale concetto definendo una scala di bisogni. Tale scala conosciuta come “La piramide di Maslow” è suddivisa in cinque differenti livelli, dai più elementari (necessari alla sopravvivenza dell'individuo) ai più complessi (di carattere sociale).
L'individuo si realizza passando per vari stadi, i quali devono essere soddisfatti in modo progressivo.

I livelli di bisogno concepiti sono:

  1. bisogni fisiologici;
  2. bisogni di salvezza, sicurezza e protezione;
  3. bisogni di appartenenza;
  4. bisogni di stima, di prestigio, di successo;
  5. bisogni di realizzazione di sé.

Una persona quindi di cosa ha bisogno?

A mio avviso una persona ha bisogno di essere libera, libera di scegliere.

Cosa significa libertà?

Libertà significa responsabilità. Questo è il motivo per cui la maggior parte degli uomini ne ha paura (George Bernard Shaw, Uomo e superuomo, 1903)

Per libertà s'intende la condizione per cui un individuo può decidere di pensare, esprimersi ed agire senza costrizioni, usando la volontà di ideare e mettere in atto un'azione, ricorrendo ad una libera scelta dei fini e degli strumenti che ritiene utili a metterla in atto.

Ove c'è raziocinio c'è scelta, ove c'è scelta c'è libertà. (Oriana Fallaci)

Essere liberi significa dunque essere nella condizione di poter avere la possibilità di scegliere tra diverse alternative.
Liberi di scegliere autonomamente, rispetto a come decidere di vivere la propria vita.

La libertà non sta nello scegliere bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta (Theodor Adorno, Minima moralia, 1951)

Cosa c'entra il limite con la libertà? Come sono correlate?

La colonna portante della società moderna si basa sul principio: Unlimited, del tutto è possibile, da cui ne consegue l'aspettativa del tutto e subito. (Grandi, 2007)

Rifletterei sul significato del tutto è possibile, che a mio avviso può assumere una connotazione negativa, se consideriamo questo slogan come uno slancio verso l'avere invece che l'essere. Secondo tale logica è quindi necessario avere tutto per essere, nel maldestro tentativo di comprarsi un identità.
L'uomo di oggi si sente dunque autorizzato, rispetto ai valori sociali a vivere il mondo auspicando alla realizzazione quasi ostinata, senza scrupoli e ad ogni costo dei propri fini.
Una visione machiavellica dell'uomo teso all'affermazione di stesso e alla sopraffazione del suo simile.

Quali sono i limiti a questa sfrenata ascesa verso il successo? verso la perfezione? Verso cosa? Per diventare o credere di essere chi?

In una società tesa all'avere, all'apparire, al dimostrare, credo che purtroppo ci troviamo di fronte, alla stravolgente tendenza per cui la persona assume valore rispetto a ciò che possiede. In altri termini si giunge a questa inaccettabile equazione avere=essere.
In una società in cui i mass media trasmettono finti valori, quali: l'apparire (la vanità), il possedere (la superbia) siamo davvero e ancora liberi di scegliere: cosa volere, cosa avere, cosa desiderare e chi essere?
Siamo ancora liberi di essere noi stessi o siamo piuttosto costretti a conformarci e diventare la caricatura di un prototipo televisivo?
Qual'è il prezzo da pagare per abitare il nostro corpo cercando di voler diventare un'altra persona?

Come possiamo riconoscere i nostri limiti, se non siamo neanche nella condizione di essere riconosciuti come persone nella nostra singolarità?

Purtroppo molti giovani inebriati dalla mondanità, dalla leggerezza, dalla spinta all'agire vivono un mondo surreale e fantastico: “Il Paese dei Balocchi” basato sul divertimento, sul “qui e ora”. Dove le parole: fatica, sacrificio sono bandite, considerate parolacce.
Il Paese dei Balocchi è effimero, magico, grandioso, scintillante, tutto è a portata di mano, tutto è possibile. Da quanto appena detto è facile notare come il denominatore comune conduca alla gratificazione immediata.
Molti giovani si accostano in questo modo all'uso e consumo di sostanze, nel tunnel della droga. All'inizio il novello ha l'illusione di avere un controllo onnipotente della situazione, purtroppo però questi momenti di svago, di euforia possono distruggere la vita di molti ragazzi trasformandola nell'inferno della dipendenza.
La frequenza, il contesto, le relazioni legate all'utilizzo della sostanza determinano lo stile di vita della persona dipendente.

Ogni essere che viene al mondo cresce nella libertà e si atrofizza nella dipendenza (Silvano Agosti, Lettere dalla Kirghisia, 2004)

Il paradosso è proprio questo, i giovani approdano al mondo della droga pensando di essere aperti mentalmente a nuove esperienze e si ritrovano con l'essere dipendenti da quell'esperienza.

Una persona senza limiti diventa il limite di sé stesso (Danila Parodi)